Nel suo libro Mente Inquieta l'autore Francesco Bottaccioli è riuscito a tracciare in brevi parole la stretta correlazione che esiste fra i disturbi di natura psichica e gli eventi che incontriamo nella nostra vita. Nel campo della ricerca questa correlazione è ampiamente studiata e quindi dimostrata come vera. Sempre di più si riscontra che il nostro stile di vita inteso come alimentazione, eventi che incontriamo, personalità acquisita e consolidata negli anni possono, ognuno nelle varie percentuali di influenza, condizionare il nostro stato d'animo, tale da renderlo piacevole e desideroso di assaporare la vita o malinconicamente frustrante fino ad arrivare all'essere incontrollabilmente distruttivo.
Il libro sopra citato menziona una ricerca condotta in tutta Europa su circa 20.000 persone. Questa indagine ha potuto confermare una relazione diretta fra il numero di eventi negativi succeduti negli ultimi cinque anni e la predisposizione alla condizione depressiva. Lo studio ha anche constatato che un soggetto che abbia dovuto affrontare quattro eventi della vita negativi rischia tre volte tanto, rispetto a chi ha dovuto affrontarne solo uno, di incorrere nel disturbo della depressione. E' sottinteso che parliamo di eventi particolarmente devastanti, tali da cambiare violentemente gli equilibri psico emotivi della persona. Lo studio infatti ha constatato che la perdita di una persona cara è il primo evento scatenante. Parliamo ad esempio della perdita di un figlio, in primis, come anche di un coniuge o un genitore. Uno studio ha rilevato che soggetti, prevalentemente madri, che hanno perso un figlio in età inferiore ai 18 anni hanno un 67% di rischio in più di ricovero presso strutture ospedaliere per disturbi mentali.
Possiamo continuare l'analisi relativa alla perdita analizzandola sotto l'aspetto del lavoro. Se la morte di un congiunto ha risvolti devastanti, la perdita del lavoro non ne è da meno.
Nella società moderna il lavoro, particolarmente per l'uomo, è rilevante per determinare l'identità individuale, attraverso il quale ricopriamo un ruolo utile alla comunità in cui viviamo; da questo ne scaturisce la considerazione che altri possono avere di noi alimentando la nostra autostima. Questa condizione porta inevitabilmente a mettere a rischio la nostra identità e a vivere momenti di forte stress psichico con esiti alcune volte anche drammatici. In questo libro vengono riportate delle statistiche non certo piacevoli ma purtroppo realistiche le quali dovrebbero farci ragionare sulla gravità del momento che attraversiamo da un punto di vista sociale ed economico. Uno studio di ricerca (Surtees, P. Wainwright, Life events and health; Fink G., Stess consequences, Academic Press, San Diego, 2010) riporta i dati relativi al tasso di suicidi tra i maschi giapponesi. A metà degli anni novanta del secolo scorso questo tasso di suicidi era di 25 ogni 100.000 uomini, all'inizio del nostro secolo il tasso è salito a 35. L'OMS segnala anche dati relativi a suicidi di maschi italiani a causa di problemi economico-sociali: nel decennio 1965-1975 il tasso di suicidi tra i maschi italiani era di 7,8 ogni 100.000 uomini, nel 1995 è salito a 12,3, assestandosi poi a 10 ogni 100.000.
Questa breve analisi è molto chiara: gli eventi negativi della vita possono portare a disturbi di natura psichica.Se allarghiamo questa considerazione alle possibilità di intervento per fronteggiare questa 'epidemia' vediamo l'assoluta necessità di non rifugiarci nelle fantomatiche 'pillole della felicità', strumento meno adatto a risolvere un problema, ma lavorare sul nostro essere affinchè l'autostima possa regnare su tutte le attività che svolgiamo.