Fonte: giulemanidaibambini
Nel
‘CASO’ di Venerdì Salute del 23 Agosto 2011, leggo:
«Quei
bambini troppo ‘vivaci’ e ‘distratti’ che iniziano a far paura all’America
Il deficit d’attenzione e iperattività negli Stati Uniti colpisce un bambino su dieci. Un record perché in dieci anni, secondo l’Istituto superiore di sanità Usa, il disturbo è aumentato del 30 per cento. Ma i malati di oggi sono destinati a diventare adulti ‘difficili’. I sintomi infatti possono ripetersi nel 65 per cento dei casi » (dall’inviato
Angelo Aquaro)
Il deficit d’attenzione e iperattività negli Stati Uniti colpisce un bambino su dieci. Un record perché in dieci anni, secondo l’Istituto superiore di sanità Usa, il disturbo è aumentato del 30 per cento. Ma i malati di oggi sono destinati a diventare adulti ‘difficili’. I sintomi infatti possono ripetersi nel 65 per cento dei casi »
Per
completezza di informazione e per dare voce a chi nega, non l’esistenza della
problematica suscitata dai bambini troppo agitati ed impulsivi, ma la
scientificità della sua stigmatizzazione in malattia, etichettata come ‘ADHD’
(si veda anche Fred Baughman, neurologo specializzato in malattie del cervello
dell’’infanzia, membro dell’’Associazione Medica Americana, della Società di
Neurologia dell’’Infanzia, dell’’Accademia Americana di Neurologia, consulente
del Congresso USA e della Commissione per l’’Educazione degli Stati del
Colorado, Texas, Minnesota, Arkansas, Wisconsin e C. che denuncia l’invenzione e
la frode psichiatrica sugli squilibri chimici del cervello), vorrei contribuire
al dibattito in corso. In qualità di insegnante specializzato per il sostegno mi
sono occupato, fin dalle mie prime esperienze risalenti agli anni 70, del
sostegno scolastico per questi ‘bambini e bambine difficili’ che, a quell’epoca
in Italia, non avevano ancora l’etichetta di ‘Deficit dell’attenzione e disturbo
da iperattività’ ( ADHD) che li stigmatizza ora come malati. No, allora erano
semplicemente dei gianburrasca o bambini con l’argento vivo addosso, bambini ed
adolescenti vivaci, troppo vivaci ed irrequieti che sfidavano, anche
fisicamente, l’adulto. Durante la lezione ti scappavano fra le gambe per correre
fuori dalla scuola e io dovevo ricorrerli per riportarli in classe! Disturbavano
la tranquilla routine delle lezioni basate su di una didattica prevalentemente
frontale-uditiva: tutti fermi al proprio posto! Ma io sono nato in campagna e
fino al giorno prima di essere imprigionato, per 5 ore ogni giorno, in quello
scomodissimo banco di prima elementare, parlavo solo la mia lingua materna, il
mio dialetto di campagna e la mia mente era piena di altre immagini in
movimento: mi arrampicavo sugli alberi, correvo a perdifiato nella campagna, con
altri coetanei, buttandomi in ogni specchio d’acqua a caccia di rane (ero forse
malato di iperattività?). Le mucche mi avevano insegnato a prevedere l’effetto
delle mie azioni: se non erano munte di mattina, al solito orario, si sarebbero
uditi presto i loro strazianti lamenti. Ho imparato ad anticipare mentalmente
l’azione, a farmi il teatrino mentale dei rapporti di causa ed effetto, cioè a
pensare e a riflettere: immergendo le mani nel fango dei fossati, cosa avrei
potuto trovarmi nelle mani oltre alle rane? (serpi, salamandre…) La natura ti
insegna a fare questo, ti educa ai tempi dell’osservazione e dell’ascolto,
invece la televisione, il videogioco, il computer, il cellulare, no! Il rapido
susseguirsi di immagini, spesso violente, nella maggiore parte dei cartoni
animati e dei videogiochi per bambini costruiscono, nella loro mente, delle
mappe mentali non fondate su giuste emozioni e competenze relazionali, ma su
“frenetiche” ed “impulsive” attività sensomotorie basate su di una modalità tipo
“stimolo-risposta”, al posto del pensiero e della riflessione. Mobilitare il
corpo al posto del pensiero, diventa allora imperativo!
Si sono stato fortunato, la vita nel “”villaggio educante” contadino, mi aveva costruito una mente adatta ad accogliere e comprendere nuove regole, una mente preparata all’acquisizione di abilità di adattamento a ritmi e modalità di apprendimento anche diverse da quelle delle quali avevo avuto esperienza fino ad allora. Ma i bambini di oggi, per questo aspetto, sono meno fortunati: hanno in mano, per la maggior parte del loto tempo libero, il telecomando, il mouse, il joystick , il cellulare, terribili strumenti di inibizione di una mente in crescita, in un periodo che assorbe ogni minimo stimolo per configurarsi ed adattarsi all’ambiente circostante ( e possibilmente anche per trasformarlo): immagini violente in rapida successione schermi di video-giochi che non lasciano speranza al pensiero se non alla reazione quasi meccanica dello stimolo-risposta! Come possono allora essere preparati all’adattamento a sistemi scolastici così diversi, a ore di immobilità ed attesa, seduti in un banco: occorre capire che si chiede loro l’impossibile. Non si possono lasciare i bambini, per ore, davanti al televisore o ai videogiochi e poi pretendere che se ne stiano tranquilli ed attenti al loro posto: dopo ci vuole la chimica per sedarli, così droghiamo i futuri cittadini del mondo!
Si sono stato fortunato, la vita nel “”villaggio educante” contadino, mi aveva costruito una mente adatta ad accogliere e comprendere nuove regole, una mente preparata all’acquisizione di abilità di adattamento a ritmi e modalità di apprendimento anche diverse da quelle delle quali avevo avuto esperienza fino ad allora. Ma i bambini di oggi, per questo aspetto, sono meno fortunati: hanno in mano, per la maggior parte del loto tempo libero, il telecomando, il mouse, il joystick , il cellulare, terribili strumenti di inibizione di una mente in crescita, in un periodo che assorbe ogni minimo stimolo per configurarsi ed adattarsi all’ambiente circostante ( e possibilmente anche per trasformarlo): immagini violente in rapida successione schermi di video-giochi che non lasciano speranza al pensiero se non alla reazione quasi meccanica dello stimolo-risposta! Come possono allora essere preparati all’adattamento a sistemi scolastici così diversi, a ore di immobilità ed attesa, seduti in un banco: occorre capire che si chiede loro l’impossibile. Non si possono lasciare i bambini, per ore, davanti al televisore o ai videogiochi e poi pretendere che se ne stiano tranquilli ed attenti al loro posto: dopo ci vuole la chimica per sedarli, così droghiamo i futuri cittadini del mondo!
Sappiamo
ora, grazie alla scoperta dei neuroni a specchio, il cui ruolo primario resta
comunque la comprensione del significato delle azioni altrui, che il sistema
motorio può essere attivato sia durante l’esecuzione del gesto, sia con
l’osservazione o l’immaginazione di un atto che rientri nel repertorio motorio
del soggetto che osserva: quindi divento io il protagonista di quello che vedo.
Assai pericolosa influenza quando queste sono scene rapidissime e violente:
tutto questo contribuisce a spiegare anche l’atteggiamento imitativo violento e
incosciente che molti giovani compiono sotto il condizionamento dei mass-media:
sarà naturale, per loro, compiere azioni inconsulte e gravissime per il solo
fatto di averle viste in tv o nei video giochi perché sono entrate nel bagaglio
esperienziale della loro attività motoria, cioè come se le avessero fatte loro
da sempre! Tali mappe mentali (= pensiero più o meno consapevole) possono
prendere il sopravvento in bambini ed adolescenti in crescita, soprattutto se
lasciati soli davanti al televisore senza il confronto con commenti critici,
senza l’ascolto e dialogo con i genitori. Infatti, mancando, nella coscienza
degli adolescenti, l’esperienza di vita, le conoscenze, i sentimenti e i valori
di un adulto, valori positivi in grado di valutarle criticamente e controllarle,
tali scene inibiscono il pensiero e la riflessione consapevole per lasciare il
posto alla mobilitazione compensativa del corpo: un’attività motoria frenetica
alla ricerca di continui stimoli percettivi, per cercare di dare una risposta al
bisogno istintuale di “senso” che caratterizza ogni Attività Nervosa Superiore
umana, un senso che, per un bambino ed un adolescente, è fornito unicamente
dalla relazione e dal dialogo valorizzante ed affettivamente caloroso con il
mondo circostante adulto. Mancando la mobilitazione del pensiero, la ricerca di
senso avviene dunque attraverso un inutile movimento, esasperato ed esasperante
non solo per gli adulti che gli vivono accanto, ma anche per il bambino, sempre
più solo con la sua ‘iper’-attivià (un prefisso ‘iper’ che utilizzo in senso
neuro-pedagogico e fisiologico, non clinico-patologico) sempre più incapace di
comprendere quello che gli succede: ma l’adulto dov’è? Il bambino non è
disattento, in realtà è molto attento, ma attento ad una cosa che gli adulti non
capiscono, è attento a qualcosa che non trova, ad un risposta di senso – cioè
un’attenzione, un ascolto, un rispetto ed una valorizzazione delle sue
potenzialità – che non riesce ad avere, ma che potrebbe trovare in una relazione
pedagogico-educativa con l’adulto, più rispondente ai suoi bisogni.
Ma
l’adulto è disattento, ha mille problemi: è prigioniero di abitudini mentali, di
una educazione tramandata e costruita su di una complessa rete di riflessi
condizionati, ( dunque abitudini temporanee che possono essere modificate,
contrariamente a quanto teorizza la deterministica ‘psicologia del carattere’ )
basati su emozioni e sentimenti arcaici. Emozioni, e sentimenti utili ai tempi
della lotta per la sopravvivienza: possessivismo, gelosia, egoismo, prepotenza,
arrivismo, violenza… ossia il potere sull’uomo da parte dell’uomo. Emozioni,
dunque, non sempre al servizio dell’ evoluzione di una coscienza di specie utile
ai fini della promozione umana degli adulti. Così anche il pensiero del bambino
non trovando uno specchio ‘etico’ nel quale riflettersi è costretto in rigidi ed
asfittici cammini di crescita e conoscenza, limitato nella capacità di pensiero
e di riflessione ma irrequieto nel corpo che di questa mente è il portatore: non
per questo occorre, però, eccitare quella mente con delle droghe. Le abitudini
scorrette possono e devono essere modificate con l’educazione, con l’attenzione
e l’ascolto veri, con l’esempio degli adulti. L’esempio di un comportamento
etico e virtuoso dell’adulto è capace di promuovere nella mente ‘assorbente’ del
bambino, la formazione di reti e mappe neuronali (e quindi immagini e abitudini
mentali) basate su emozioni relazionali più ‘empatiche’, più solidali e
paritarie, nei confronti degli altri appartenenti al genere umano. Immagini
mentali, pensieri nuovi che crescendo come pianticelle alte nella sfera della
coscienza, prendono il sopravvento (= cambiamento) e fanno ombra alle erbacce:
abitudini mentali ed emozioni retaggio delle ere più buie, dei tempi
dell’oppressione, della sopraffazione del più forte sul più debole. Oppressi ed
oppressori, una realtà che ha caratterizzato la preistoria, la storia delle
grandi civiltà, il medioevo, lo schiavismo, il colonialismo, le guerre mondiali
e che, purtroppo, caratterizza ancora, in forme diverse e più mistificanti, ma
non meno atroci, la storia contemporanea. Esempi, immagini, atti, parole,
emozioni e idee per il cambiamento, dunque, per promuovere la mobilitazione di
un pensiero logico e creativo orientato anche all’evoluzione di una coscienza di
specie. Una coscienza di genere umano dalla quale non si può più prescindere se
si vuole parlare di un possibile futuro del “cittadino planetario”. Ma questa è
un’altra storia, no anzi non è un’altra storia è l’unica storia che possiamo
scrivere se vogliamo che esista una storia futura. Il futuro non lo scriviamo
certo con il pennino della chimica nel cervello dei futuri cittadini del mondo,
così come non lo si scriverà cercando ossessivamente improbabili disturbi nel
cervello dei bambini, allo scopo di evitare di cercarli nel mondo esterno a lui,
per non vedere le responsabilità gravissime dell’esempio deleterio del mondo
adulto attuale, per non volere l’elevazione della coscienza del genere umano,
cioè la logica del cambiamento personale. Il cambiamento, questo perfetto
sconosciuto! La politica, i governi delle nazioni, chi detiene il potere, può
decidere una inversione di rotta prendendo in considerazioni le acquisizioni
delle vere neuroscienze e delle pedagogie progressiste, quelle che ci indicano
la via per il cambiamento delle coscienze e l’evoluzione di una coscienza di
specie planetaria!
Chi
etichetterà gli etichettatori? Classificare pseudo-disturbi o assumere una nuova
visione etica, pedagogica e scientifica dell’umanità, a partire dall’infanzia e
dall’adolescenza? Etichettare o – anche alla luce delle recenti scoperte delle
neuroscienze – educare ad un pensiero ecologico, ad una coscienza etica,
empatica e solidale, a cominciare già dal cucciolo della specie umana ?
Certamente
é più facile permettere allo psicologo o allo psichiatra di etichettare con
pseudo-disturbi, i nostri figli-studenti piuttosto che ammettere le
responsabilità del mondo adulto e di una scuola non adeguata a rispondere alle
nuove esigenze formative ed ai bisogni specifici di apprendimento dei bambini e
degli adolescenti di oggi. E’ più facile permettere e favorire, fare addirittura
leggi, per la caccia sfrenata di pseudo-disturbi in bambini poco più che neonati
, con il pretesto di diagnosi precoci, per raggiungere la fatidica soglia del 4%
al di sotto della quale non essendo significativo il “disturbo” non si prendono
cattedre e finanziamenti, piuttosto che pretendere il “cambiamento dell’adulto”
(Montessori “Il Segreto dell’infanzia”), piuttosto che riconoscere le
responsabilità di una società della cultura “terapeutica” sfrenata (il termine
terapeutico qui va inteso in senso clinico/medicalizzante e non certo in quello
del prendersi cura qual è l’originale significato del termine greco) – Furedi
“Il nuovo conformismo. Troppa psicologia nella vita quotidiana”. Ci sono però
anche altre responsabilità, come quella dei metodi inadeguati utilizzati dalla
scuola a causa della quasi scomparsa della pedagogia, di una pedagogia a tutto
spessore, di una pedagogia scientifica, nella formazione universitaria degli
insegnanti (ma anche nella televisione e in libreria, dove è sparito l”ultimo
scaffale intitolato ‘Pedagogia’ soppiantato da 5 scaffali intitolati
‘psicologia’) a favore della psicologia che, ignorando sorprendentemente il
ruolo e le responsabilità dei processi educativi e dell’insegnamento, induce
insegnanti ed educatori – ma anche molti pedagogisti di “nuova formazione” – ad
utilizzare il linguaggio e le teorie della psicologia, ad intravedere cioè
“Disturbi Specifici di Apprendimento”, anziché “Bisogni Specifici di
Apprendimento e di Educazione” – in tutte quelle manifestazione di diversità, in
tempi e modalità di apprendimento, attenzione, comunicazione, relazione e
movimento, scaturite da diverse biografie sociali, educative e da personali
profili di apprendimento.
«Chi
ha mai detto che la pedagogia debba essere illuminata da conoscenze
psicologiche? Le scienze pedagogiche dovranno davvero venire soppiantate da
psicologia, psichiatria e psicoanalisi?» Questo, il lungimirante grido di
allarme lanciato, dalla dott.sa Antonietta Bernardoni, già agli inizi degli anni
70. Come non darle ragione, oggi?
E’
necessario invertire la rotta, riprendere il cammino pedagogico e scientifico
tracciato da illustri pedagogisti del passato! Riprendere in considerazione le
scoperte della pedagogia scientifica di Maria Montessori, la più grande e famosa
pedagogista del Novecento, le cui scuole però, più che in Italia, si sono
diffuse all’estero, come mai? Questa grande figura pedagogica italiana, stampata
sulle banconote da 1000 lire, ha dimostrato un’attenzione, antropo-pedagogica e
scientifica per lo sviluppo e l’evoluzione della mente del bambino, veramente
eccezionali, indicandoci una via per comprendere e rispettare maggiormente le
modalità ed i tempi di apprendimento di ciascun bambino. Bambini che, cresciuti
nel rispetto e nella valorizzazione dei loro potenziali mentali, certamente non
sarebbero facili prede di etichette come quella di “Deficit di Attenzione e
Disturbo da Iperattività” o di DSA! Occorre ripartire, anche, dall’ “I Care” di
Don Milani , dal suo “Sentirsi responsabili di tutto” dal suo“Uscirne insieme è
la politica, uscirne da soli è avarizia” per riscoprire gli effetti positivi
della cooperazione e dell’aiuto reciproco – al posto della competizione – sullo
sviluppo mentale dei bambini e delle bambine. Ma per quei bambini ed adolescenti
così condizionati ad un’attività mentale di stimolo-risposta, non ci vuole
assolutamente il Ritalin o uno qualsiasi degli altri psicofarmaci di ‘ultima
generazione’ (un nome predittivo?) che ’stupefacendola’ impediscono alla
coscienza di comprendere il motivo della irrequietezza della propria unità
mente-corpo. La ’stupefacente’ azione chimica sul cervello impedisce al bambino
e ai suoi genitori di agire per eliminarne le vere cause, di cambiare, di
trasformare le relazioni e il proprio ambiente di vita. Ma nemmeno la
psicoterapia, un altro modo per impedire la ricerca delle vere cause, una
modalità che, colpevolizzando di fatto il bambino, impedisce il cambiamento dei
rapporti con l’ ambiente esterno a lui, dove cioè si trovano le vere cause del
suo disagio. Interpretazioni fuorvianti per scaricare le responsabilità del
mondo adulto sul bambino stesso, per convincere genitori e bambino della sua
malattia, o quanto meno per portarlo a sentimenti di una diversità
patologica.
«Chi
educherà gli educatori?
Nessuno educa nessuno, ci si educa insieme, tutti imparano da tutti»
(Paulo Freire)
Nessuno educa nessuno, ci si educa insieme, tutti imparano da tutti»
(Paulo Freire)
La
‘cura’ è il ‘prendersi cura’, ossia l’educare! Già Antonietta Bernardoni, medico
di Modena negli anni 70, affermava «Nel campo dei giusti rapporti
interpersonali, tutti dobbiamo essere ricercatori e scienziati affinché nessuno
lo debba essere in maniera specialistica e separata» auspicando la necessità di
una ‘Pedagogia dei genitori e degli insegnanti’ che è anche pedagogia dei
figli-studenti. Una pedagogia a tutto spessore che sostituisse la pedagogia
dell’equipe. Infatti l’equipe, allora definita medico-psico-pedagogica, di
veramente medico e veramente pedagogico aveva ben poco essendo, a tutt’oggi,
prevalentemente psicologizzante e psichiatrizzante. «L’equipe
medico-psico-pedagogica svalorizza il maestro, deresponsabilizzandolo, usa il
bambino come prova dell’incapacità pedagogica dell’insegnante o come prova
dell’insufficienza della pedagogia in generale quando non sia “illuminata” da
conoscenze psicologiche» (Antonietta Bernardoni, L’Attività Terapeutica Popolare
– Modena 1975) Ora l’OMS, più volte sollecitata dalla dottoressa Antonietta
Bernardoni con scritti ancora oggi rintracciabili, sembra abbia recepito, anche
se dopo 40 anni, parte di questa sua raccomandazione, nell’ICF – Classificazione
Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute – un documento
emesso per correggere, in senso maggiormente sociale e pedagogico, l’ottica
medicalizzante della precedente classificazione I.C.D.I.H.
Dunque
educare. Educare, non solo nel senso di e-ducere, cioè tirar fuori, ma
soprattutto nel senso di “prendersi cura”. Educare ad un sistema di
ascolto-narrazione delle proprie esperienze educative con, e tra, gli adulti,
con e tra tutti quegli ‘esperti di vita’ – genitori ed insegnanti,
amministratori, operatori sociali, pedagogici e sanitari – che si confrontano,
“si narrano”, per trovare soluzioni e rimedi a modelli di vita insostenibili da
parte dei bambini, (ma insostenibili anche da parte degli adulti) dove
l’obiettivo è la crescita, il cambiamento, a partire da quelli personali
soprattutto degli adulti. Esperti di vita, come dice Alain Goussot, perché tutti
siamo esperti e scienziati della propria vita.
Ermanno
Tarracchini, ermanno.tarracchini@tiscali.it,
biofarmacologo, insegnante
specializzato per il sostegno educativo-didattico, già docente universitario a
contratto di “Strategie Biopedagogiche ed antropoevolutive per rispondere ai
Bisogni Specifici di Apprendimento e d’Integrazione” e supervisore nella Scuola
di Specializzazione per l’Insegnamento nella Scuola Secondaria (S.S.I.S.)
dell’Università di Modena e Reggio Emilia.
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