L’intervento manipolativo è indubbiamente indicato nelle condi-zioni di stress, in modo particolare il trattamento craniosacrale. L’intervento manipolativo craniosacrale apporta un profondo rilascio di tutta la struttura intracranica. Soprattutto l’intervento sulle disfunzioni della base cranica apporta grandi benefici a soggetti che soffrono di stress. Con questa asserzione non intendiamo certo affermare che il solo intervento manipolativo possa risolvere o eliminare condizioni legate allo stress. Come abbiamo visto la causa può essere data da modelli di vita o situazioni che permangono nel tempo e che fino a quando questi esistono, risultano essere la causa primaria dello stress. Ma qual è allora l’utilità del trattamento craniosacrale sullo stress e sul riequilibrio delle funzionalità del sistema nervoso autonomo? Per dare risposta a questa domanda dobbiamo rivedere le componenti anatomiche delle meningi.
Partiamo del midollo spinale cervicale. Questo serve da conduttore principale degli impulsi nervosi tra il cervello ed il midollo spinale al di sotto del collo; in ultimo lo stesso midollo spinale ha la funzione di collegare il cervello al sistema nervoso periferico. La parte più caudale del cervello è il bulbo, struttura in continuità con il midollo spinale cervicale a livello del forame magno.
Dal midollo spinale fuoriescono 8 coppie di radici dosali e ven-trali (i nervi spinali sono in totale 31 paia: 8 cervicali, 12 toracici, 5 lombari, 5 sacrali ed 1 coccigeo; la maggior parte degli assoni che compongono le radici ventrali originano dalle cellule della sostanza grigia anteriore e laterale del midollo spinale, mentre quelli che compongono le radici dorsali originano dai gangli spinali dorsali), che si uniscono temporaneamente per formare un tronco comune a livello del forame intervertebrale.
La radice dorsale trasporta l’impulso sensoriale dalla periferia al midollo spinale, la radice ventrale invia i comandi motori dal sistema nervoso centrale ai vari distretti del corpo; inoltre le stesse fibre motorie ventrali, dopo essere uscite dal forame intervertebrale entrano in contatto con il sistema nervoso simpatico. Il nervo spinale C1, dopo essere uscito dal canale vertebrale tra occipite ed atlante, passa sopra l’arco dell’atlante e sotto l’arteria vertebrale e si preoccupa di innervare il muscolo obliquo superiore, inferiore e grande retto posteriore del capo, piccolo retto posteriore e semispinale del capo; in misura minore, questo nervo spinale C1 dà origine ad una branca sensoriale che innerva una parte del cuoio capelluto. La compressione dei condili occipitali o una alterazione della struttura occipito atlantoidea causata da ipertonicità della muscolatura suboccipitale può causare una disfunzione del nervo spinale C1 con conseguente cefalea, localizzata maggiormente nella zona frontale. Posture errate, tipiche di coloro che rimangono ore al computer, o atteggiamenti posturali conseguenti a sollecitazioni emozionali possono determinare una alterazione strutturale della zona cervicale appena considerata; in questo caso lo stress emotivo continuativo può provocare seri danni alla struttura articolare. Tecniche, ad esempio, come il rilassamento della base cranica o CV4 sono molto efficaci. Quando si presentano soggetti con sindromi da stress accumulato da molto tempo, il trattamento craniosacrale è il più indicato, considerando l’accumulo di tensione protratto nel tempo.
Il piccolo ed il grande nervo occipitale, che provengono entrambi dalle radici nervose di C2, hanno funzione motoria (piccolo n. occipitale) e sensoriale (grande n. occipitale); inoltre il piccolo nervo occipitale dà il suo contributo alla formazione del plesso cervicale, i cinque segmenti inferiori del midollo spinale cervicale, invece, contribuiscono alla formazione del plesso brachiale con funzione di innervazione dell’estremità superiore. Anche in questo caso il trattamento craniosacrale è utile per distendere le tensioni che si manifestano in quest’area. Saranno indicati, oltre al già citato rilassamento della base cranica e CV4 anche il rilascio strutturale dello stretto toracico, accompagnato dalla distensione delle aponeurosi del tratto cervicale anteriore.
Per comprendere bene l’azione del trattamento craniosacrale sulle radici nervose è utile approfondire l’aspetto anatomico dei tre strati della meninge.
Iniziamo con la pia madre, la più interna delle tre. Questa riveste più da vicino l’intero sistema nervoso centrale con funzione di trasporto dei vasi sanguigni utili al nutrimento ed all’eliminazione degli scarti metabolici del tessuto nervoso. È composta da collagene e fibre elastiche rivestite da cellule squamose piatte. Dal sistema nervoso centrale provengono degli astrociti i quali entrando nella pia madre collegano la stessa al tessuto nervoso, con la funzione di selezionare il trasporto degli ioni e delle molecole dentro e fuori il sistema nervoso centrale; tutto ciò fa presumere che sia parte della barriera emato-encefalica.
Nel momento in cui la radice nervosa si stacca dal midollo spinale ed inizia la sua corsa fuori da questa struttura, o comunque quando vi rientra, sarà la pia madre a formare una specie di guaina protettiva che segue il nervo fino al forame intervertebrale; nel momento in cui esce definitivamente da questo forame, avviene una fusione della pia madre con il perineo del nervo. Delle sottili trabecole fanno da ponte fra la pia madre e l’aracnoide, la seconda del gruppo delle tre meningi. Lo spazio che si forma fra questi due strati meningei è chiamato spazio subaracnoideo, pieno di liquor. Da notare che nel tratto cervicale, la pia madre è più spessa e meno vascolarizzata rispetto all’area craniale.
Degno di nota citare i legamenti denticolati, disposti frontalmente che vanno dalla parete laterale alla faccia laterale del midollo spinale a destra e a sinistra; essi prendono questo nome perché sono come i denti di un pettine. Questi legamenti, che sono dipendenze della dura madre e dell’aracnoide, fissano lateralmente il midollo spinale, inoltre rappresentano una barriera per cui le radici posteriori sono separate fisicamente da quelle anteriori fissando tali radici nel luogo in cui stanno impedendo loro di spostarsi verso il centro. Ci sono 21 coppie di legamenti denticolati; la coppia superiore, o meglio la prima cranialmente, si inserisce nella dura madre a livello del forame magno dopo essere passata tra l’arteria ed il nervo ipoglosso, la coppia inferiore, l’ultima in direzione caudale, esce a livello della giunzione T12.
Esaminiamo ora l’aracnoide, una membrana molto delicata. Essa è separata dalla pia madre dallo spazio subaracnoideo, in cui troviamo il liquido cerebrospinale, e dalla dura madre dallo spazio subdurale. L’aracnoide è presente sia nel cranio che nel canale vertebrale. Per quanto riguarda l’interno del cranio, questa membrana non segue il percorso della pia madre la quale entra in tutte le piccole fessure e solchi del cervello, ad eccezione delle falci (cerebrale e cerebellare) e del tentorio, ma si limita a rivestire i due emisferi cerebrali; in relazione invece al canale vertebrale, l’aracnoide è vista come una guaina di forma tubolare che si limita a circondare il midollo spinale e le radici spinali. Da precisare che l’aracnoide cervicale è una continuazione della stessa membrana intracraniale superiore da una parte e dell’aracnoide toracico inferiore; ne consegue che tutto il midollo spinale e le radici nervose sono rivestire dall’aracnoide, inclusa anche la parte denominata cauda equina, quindi fino alla terminazione più caudale dello stesso midollo. L’aracnoide non prende mai contatto con la dura madre, ad eccezione delle terminazioni come i forami intervertebrali dove le due membrane si uniscono avvolgendo le radici nervose; esiste invece contatto tra la pia madre e l’aracnoide attraverso le trabecole.
Concludiamo l’esame delle tre membrane con la dura madre, struttura particolarmente robusta, resistente e non elastica. Precisiamo che all’interno della volta cranica sono presenti due sfoglie di dura madre, solidamente strutturate con le trabecole. Dalla loro uscita dal forame magno, entrando nel canale vertebrale cervicale, queste due superfici risultano essere divise ed autonome l’una dall’altra. Nel cranio lo strato esterno delle ossa craniali prosegue nel canale cervicale come periostio delle vertebre cervicali; lo strato interno diventa la dura madre spinale. Come già detto, la dura madre nasce in pratica dal forame magno al quale si attacca tutto intorno alla sua circonferenza e inizia la sua discesa nel canale vertebrale formando delle guaine allentate che si accompagnano alle radici del nervo spinale quando escono dal midollo spinale, terminando a livello dei forami intervertebrali. C’è da dire, comunque, che all’interno di questo canale la dura madre mantiene la propria libertà nei suoi rapporti con l’aracnoide e la pia madre, ad eccezione di punti in cui viene ancorata e più precisamente il già citato forame magno, la C2 e la C3 per quanto riguarda la parte craniale e la S2 per quanto riguarda la parte caudale. Questi ancoraggi permettono un buon movimento del midollo spinale all’interno del canale vertebrale, permettendo così di flettere, estendere o lateroflettere il rachide senza causare danni la midollo. Il fatto che l’area cervicale superiore sia ancorata in prossimità del forame magno, C2 e C3 può compromettere la mobilità durale nel canale vertebrale con conseguente disfunzione cervicale superiore e manifestazioni di nevralgie occipitali e cefalee.
La descrizione delle tre meningi con le rispettive considerazioni anatomiche ci permettono di comprendere come il trattamento craniosacrale trovi interessanti impieghi dopo i traumi, anche di vecchia data. Colpi di frusta, solitamente, provocano una modifica-zione violenta e forzata della regolare lordosi cervicale, la quale viene a mancare; ne consegue che il movimento della dura madre all’interno del canale vertebrale perde la sua normale regolarità. Oltre a ciò comprendiamo che un solo trauma in un punto localizzato della dura coinvolge l’intero sistema craniosacrale. Il trattamento craniosacrale, allora, sarà concepito come trattamento non localizzato ma generalizzato su tutto il sistema, perché è il sistema craniosacrale a ricevere un trauma. Per contro, una protrusione o ernia discale lombare potrà divenire la causa di una disfunzione del sistema craniosacrale con possibili ripercussioni, ad esempio nel tratto cervicale alto.
Oltre a ciò un trauma localizzato sul rachide può essere causa di un segmento facilitato; che cosa intendiamo per segmento facilitato? Questa terminologia può trarre in inganno, infatti non si intende una condizione positiva per la conduzione nervosa delle radici nervose del sistema nervoso centrale, ma bensì un aumento degli impulsi nervosi lungo il percorso di un tratto che porta inevitabil-mente ad una irritazione di intere regioni del sistema nervoso. Per comprendere meglio questo concetto ricordiamo che tutte le cellule nervose comunicano fra di loro attraverso impulsi elettrici scaturiti da stimolazioni. Proviamo ad immaginare una compressione data da una protrusione o un’ernia discale la quale provochi una irritazione dei nervi sensoriali che vanno dalle vertebre al midollo spinale; questo evento può provocare uno stato di irritazione costante, fino a quando non viene eliminato. Poiché questo avvenimento abbassa la conduzione di impulsi nervosi, per mantenere vivo e costante il segnale elettrico, esso tende alla iperattività; si avrà allora una raffica di impulsi di eccitazione inviato al midollo spinale. Da ciò comprendiamo che un segmento facilitato è una parte del midollo spinale eccessivamente eccitabile e che scarica un numero sproporzionato di impulsi. Teniamo presente che nell’area in cui c’è un segmento facilitato gli impulsi abnormi andranno a colpire, attraverso i motoneuroni, organi, fasce muscolari ed articolazioni; inevitabilmente tutto ciò creerà un circolo vizioso neuro-irritativo. Da un punto di vista pratico potremo allora avere due condizioni: un riflesso somato-viscerale e di contro un riflesso viscero-somatico. Prendiamo ad esempio l’area toracica che và dal nervo spinale T1 al T8; questa regione rifornisce l’area gastrica dei nervi ortosimpatici i quali, se facilitati, possono inviare segnali anormali, irritanti agli organi come lo stomaco, il pancreas e parte dell’intestino: questo è un riflesso somato-viscerale, in cui si potranno manifestare spasmi gastro-intestinali, gonfiore, infiammazione della mucosa gastrica nonostante vi sia una buona e corretta alimentazione. Ma se l’organo ad essere malato, come ad esempio patologie epatiche, polmonari o gastriche? Allora in questo caso assisteremo ad un riflesso somato-viscerale; in buona sostanza l’irritazione nasce proprio dall’organo il quale, con le sue terminazioni nervose, andrà ad irritare l’area midollare corrispondente, dando vita a una facilitazione. Tecniche manipolative osteopatiche, fra cui anche il trattamento craniosacrale, possono eliminare il disturbo irritativi del nervo spinale, rimuovendo così il circolo vizioso che era venuto a crearsi. Ciò deve avvenire il prima possibile in quanto questo disturbo venutosi a creare nel midollo spinale può spandersi in altre aree nervose, cranialmente o caudalmente. Se questa irritazione raggiunge il tronco cerebrale possiamo assistere ad una forma di ipersensibilità di tutto il sistema nervoso centrale, in cui funzioni ortosimpatiche e parasimpatiche perdono la loro capacità controllare la funzionalità neurovegetativa.
Ma cosa avviene nel corpo, nel momento in cui questo viene colpito? Una interessante spiegazione ci viene data dalla stessa osteopatia craniosacrale. Parleremo allora di forze biocinetiche e forze biodinamiche. La forza biodinamica è quella forza, quella potenza intrinseca nel corpo umano capace di organizzare il mondo cellulare dell’organismo, quindi capace di mantenere un buon stato di salute. La si potrebbe paragonare alla ‘dinamis’ secondo la filosofia omeopatica. Nel momento in cui il corpo umano viene raggiunto da una forza non ben definita, esempio un oggetto che colpisce il corpo stesso oppure il corpo che cade ed alcune aree dello stesso battono violentemente, oppure ancora uno stress emozionale coinvolge l’intero essere emozionale, in tutti questi casi il corpo umano rivelerà una ben definita quantità di energia: questa è definibile come forza biocinetica. Quando avviene ciò, il corpo umano dovrà inevitabilmente, per sua conservazione e sopravvivenza, ritrovare un equilibrio, perché il precedente è stato annullato o per lo meno variato. Nella maggior parte dei casi la forza biodinamica ha la capacità e la potenza di annullare l’intromissione della biocinetica; in questo caso, pur con un di-spendio di energie, si ritorna ad un buon equilibrio. Ma se l’evento traumatico è stato molto intenso o se questo nel tempo si ripete più volte, la forza biodinamica non riesce a prevalere sul trauma; ne consegue che l’energia sopraggiunta con il shock rimane nel corpo umano. Ma questo fenomeno non può mantenersi nel tempo in quanto l’essere umano deve trovare un suo equilibrio; perché ciò avvenga la forza biodinamica, non riuscendo ad annullare la forza biocinetica, attua uno stratagemma: la concentra in una parte del corpo affinché questa non causi danni eccessivi. Quest’area, o zona, prende il nome di fulcro d’inerzia; questo diventerà un fulcro attorno al quale il sistema craniosacrale andrà ad organizzarsi nei suoi movimenti di respirazione primaria. Ma il fenomeno non termina qui, infatti per mantenere ferma ed inattiva questa forza biocinetica, il corpo umano deve impiegare una quantità superiore di energia biodinamica, energia questa che comunque potrebbe essere utilizzata per altre attività e funzioni vitali; ecco perché viene chiamato fulcro d’inerzia, perché sostanzialmente parte della potenza biodinamica diventa inerziale per il fatto che deve imprigionare una forza biocinetica. Tutto ciò provoca, da un punto di vista clinico, stanchezza cronica, abbassamento delle difese immunitarie, difficoltà a superare stress emotivi anche minimi. Questo fenomeno può essere ben paragonato ad un disequilibrio delle funzionalità ortosimpatiche e parasimpatiche. Fino a quando non si riesce a dissipare la forza biocinetica, ben difficilmente l’organismo riuscirà a riprendere le proprie funzionalità in modo regolare.
Queste considerazioni ci fanno comprendere che anche il sistema nervoso autonomo (ortosimpatico e parasimpatico) è soggetto ai benefici della manipolazione craniosacrale. Precedentemente avevamo affermato che nel momento in cui il corpo umano incontra delle difficoltà (dal trauma fisico a quello psichico) si instaura una condizione in cui l’intero organismo entra in crisi; avevamo anche detto che ogni organo o sistema ha un suo grado ideale di funzionamento, se questo viene a mancare nel tempo la condizione di stress non è più positiva ma negativa. Il trattamento craniosacrale riesce a regolarizzare le funzioni ortosimpatiche e parasimpatiche, a patto che le condizioni di stress non continuino ad apportare squilibrio organico, qualora ciò accadesse il trattamento non sarà risolutivo ma semplicemente ‘sintomatico’, in buona sostanza l’organismo ritornerà nella stessa situazione, precedente al trattamento. Il trattamento craniosacrale può allora eliminare un fulcro d’inerzia? Non possiamo avere una risposta assoluta a questo quesito. Possiamo invece affermare che l’osteopata deve avere e deve impiegare più metodiche, più tecniche, più accorgimenti affinché possa ridare forza alle compo-nenti biodinamiche affinché queste ritrovino vigore, energia e potenza per intervenire e riportare il giusto stato di salute e benessere.
In ogni caso il trattamento sull’intera volta cranica andrà a ristabilire il sistema delle membrane a tensione reciproca, con conseguente adattamento del tubo durale e relative radici nervose. Ciò permetterà una migliore funzionalità organica cardiocircolatoria, respiratoria, gastrointestinale, endocrina. L’unione della metodica craniosacrale e la manipolazione viscerale permettono di andare a dissipare fulcri d’inerzia particolarmente profondi e vecchi di data.
(Tratto dal libro Il Trattamento Osteopatico in Geriatria, Ed. Lampi di Stampa)