domenica 21 novembre 2010

"Fame di stimolo": per la sopravvivenza dell'essere umano

Il dr. Eric Berne, nei primi anni sessanta pubblicò il libro A che gioco giochiamo, poi giunto in Italia e quindi pubblicato inizialmente nel 1967 e con varie ristampe e nuove edizioni fino ad oggi. Questo è divenuto un testo fondamentale della psicologia contemporanea, costruendo l'ipotesi e gli strumenti di un nuovo tipo di analisi terapeutica, l'Analisi Transazionale, utilizzando la rappresentazione della realtà in forma di giochi.
Di questo libro è molto interessante l'analisi che si fa della 'fame di stimoli'. Per capire questo concetto possiamo partire dall'osservazione dei neonati i quali privati di cure manuali, per un certo periodo di tempo, alla lunga tendono a sprofondare un una forma quasi irreversibile di depressione, per sfociare in ultimo in forme di disturbi intercorrenti. Questo fatto ci porta a comprendere che la privazione emotiva, come la chiama il dr. René Spitz, può avere un esito fatale. Questo psicologo austriaco fu il primo a descrivere i comportamenti di quei bambini che per qualche motivo vengono separati dalla persona che si prendeva cura di loro senza trovare un valido sostituto. Tali comportamenti sono, in ordine progressivo: lamentele e richiami (primo mese di separazione) pianto e perdita del peso (secondo mese) rifiuto del contatto fisico, insonnia, ritardo dello sviluppo motorio, tendenza a contrarre malattie, assenza di mimica, perdita continua di peso, posizione prona (terzo mese) cessazione del pianto e rare grida, stato letargico (dopo il terzo mese). Queste osservazioni portarono quindi alla formulazione del conceto di 'fame di stimoli', ed indicarono che le forme di stimoli particolarmente desiderate sono quelle generate dall'intimità fisica.
Un fenomeno che è simile lo si può osservare anche negli adulti che sono soggetti a privazione sensoria. Questa condizione può in effetti portare a forme di psicosi o comunque a forme temporanee di disturbi mentali. Nel passato sono stati condotti degli studi su detenuti che erano condannati a periodi particolarmente lunghi di isolamento. Proprio attraverso queste indagini si è capito che l'isolamento è un'arma politica e sociale particolarmente forte e convincente; non per nulla molte dittature neppure troppo lontane hanno utilizzato questo sistema per ridurre all'obbedienza gli avversari politici, ma nella stessa misura si è capito che affinché le masse aderiscano a proposte o richieste in modo tacito o passivo, quasi remissivo, l'organizzazione sociale diventa lo strumento più adatto.
Da un punto di vista fisiologico molto probabilmente la privazione emotiva e sensoria tende ad instaurare dei mutamenti organici. Se il sistema attivatore reticolare del cervelletto non riceve a sufficienza degli stimoli, si può instaurare una degenerazione delle cellule nervose. Si può quindi dedurre che si formi una catena biologica che nasce dalla privazione emotiva e sensoria, ne consegua una forma di apatia e di qui alle modifiche degenerative e come tappa ultima la morte. In questo senso potremmo paragonare la fame di stimoli emotivi alla sopravvivenza dell'organismo umano con una correlazione alla fame di cibo indispensabile alla sopravvivenza.
Con il termine 'carezza' si intende solitamente un intimo contatto fisico; potremo allora avere, in relazione al contatto con un bambino, una carezza fatta con la mano sul viso, si potrebbe anche intendere con un puffetto o un dolce pizzicotto. Ma per estensione, con la parola 'carezza' si può indicare ogni atto che implichi il riconoscimento della presenza di un'altra persona; la carezza quindi serve come unità fondamentale dell'azione sociale. Uno scambio di carezze costituisce allora una vera e propria transazione, unità del rapporto sociale.
Tutto ciò evidenzia una verità assoluta: un rapporto sociale qualunque è sempre più vantaggioso della mancanza assoluta di rapporti. In età adulta si passa dalla 'fame di stimoli' alla 'fame di riconoscimento', infatti l'essere umano adulto tende ad accettare un compromesso in cui impara ad accontentarsi di forme di 'toccamento' più sottili, persino simboliche, al punto che un semplice cenno di saluto serve in qualche misura allo scopo, anche se non soddisfa la fame di contatto fisico originaria.
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