martedì 18 maggio 2010

Quello a cui pensiamo ripetutamente, quello diventiamo


“Quello a cui pensiamo ripetutamente e ciò su cui focalizziamo la nostra attenzione, è quello che neurologicamente diventiamo”.
Questa frase è riportata nel libro Evolvi il tuo Cervello, scritto dal dr. Joe Dispenza, chiropratico di fama mondiale per i suoi articoli scientifici sulla stretta relazione esistente fra chimica del cervello, neurofisiologia ed il loro ruolo nella salute fisica. Attraverso questo libro, per altro chiaro esempio della scientificità della neuroplasticità del cervello umano, il dr. Dispenza evidenzia le straordinarie potenzialità di questo organo e del fatto che non sempre lo utilizziamo nel modo corretto o comunque a nostro beneficio. Infatti, secondo le neuroscienze, rivolgere ripetutamente la nostra attenzione al dolore del corpo umano lo rende sempre più reale, proprio perché i circuiti del cervello che percepiscono il dolore vengono attivati elettricamente. Di contro se rivolgiamo la nostra attenzione e la nostra piena consapevolezza verso qualche cosa che sia completamente diverso dal dolore che possiamo provare a livello fisico, gli stessi circuiti cerebrali che precedentemente hanno processato il dolore e le sensazioni corporee possono essere letteralmente spenti, con conseguenza che il dolore può addirittura scomparire. Ma cosa succede se subito dopo controlliamo se il dolore se n’è andato in modo definitivo? I rispettivi circuiti cerebrali si riattivano, facendoci percepire nuovamente il dolore. Se i circuiti del dolore vengono attivati ripetutamente, la connessione fra loro si rinforza, in questo modo se si presta costante attenzione al dolore ogni giorno, siamo noi a creare dei circuiti neurologici capaci di sviluppare una consapevolezza più acuta della precedente del dolore, proprio perché i relativi circuiti cerebrali si arricchiscono.
Questa potrebbe essere la spiegazione del fatto che il dolore ci caratterizza, non solo la sensazione del dolore fisico, ma anche il dolore emotivo, magari provato moltissimi anni fa e coltivato nel tempo, fino ad oggi; ecco quindi il significato della frase riportata sopra: quello a cui pensiamo ripetutamente, avvenimenti successi nell’infanzia o nella giovinezza, focalizzati nel tempo, al punto da rubare la nostra attenzione ci fanno diventare, neurologicamente, quello che oggi siamo. Questo processo determina veri e propri circoli viziosi di ordine mentale, anticamera di atteggiamenti e modi di vivere i quali caratterizzano la nostra personalità, facendoci assumere modi di essere non sempre modificabili.
Quanto affermato ora dovrebbe allora farci credere che non possiamo cambiare? Niente affatto. Il dr. Dispenza dice che l’essere umano è un continuo ‘lavori in corso’, definizione forse singolare ma molto appropriata. L’organizzazione delle cellule cerebrali che costituiscono chi noi realmente siamo sono sempre in movimento; dobbiamo dimenticare la vecchia idea che il cervello sia un organo statico, rigido e fisso: nulla di più assurdo! In modo particolare quando si raggiunge l’età dell’anzianità. Le cellule cerebrali vengono costantemente rimodellate e riorganizzate dai nostri pensieri e dalle esperienze che viviamo. Da un punto di vista neurologico, noi siamo ripetutamente modificati da tutti gli stimoli che ci pervengono. Non è errato, quindi, dire che dopo un determinato avvenimento non siamo più gli stessi, come non siamo più gli stessi dopo aver letto un libro che ci ha coinvolti profondamente, non siamo più gli stessi dopo un’esperienza che, come si ha abitudine di dire, ‘ci ha cambiati profondamente’; infatti è proprio così, siamo realmente cambiati.
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