venerdì 18 febbraio 2011

La connessione va ben oltre le parole

In Programmazione Neuro Linguistica (PNL) la comunicazione è studiata nei minimi particolari. In questo studio vengono analizzati approfonditamente personaggi che hanno avuto successo nelle varie fasi della loro vita, al fine di identificarne dei Modelli i quali possano essere poi riprodotti da altre persone. Attraverso questa branca della psicologia si è compreso che non esistono cattivi ascoltatori, ma solo cattivi comunicatori.
In PNL si studiano i Sistemi Rappresentazionali, cioè il canale attraverso il quale rappresentiamo dentro noi le informazioni, suddiviso nelle sue tre componenti principali: visivo, uditivo, cinestetico. Diciamo ancora che ognuno di noi ha un suo sistema rappresentazionale dominante, attraverso il quale si determinano i tratti caratteriali e le capacità di apprendimento, ad esempio una persona con un sistema rappresentazionale dominante visivo imparerà di più attraverso la lettura e di meno attraverso l'ascolto.

Albert Mehrabian

Questa premessa ci introduce nell'analisi che John C. Maxwell presenta nel suo libro Tutti Comunichiamo pochi si Connettono, già precedentemente citato in altri articoli, e cioè che la connessione va ben oltre le parole. Infatti, quando cerchiamo di comunicare con gli altri, molti pensano che il messaggio sia l'unica cosa importante, ma in realtà la comunicazione va ben oltre le semplici e fredde parole. Secondo il dr. Albert Mehrabian, psicologo statunitense di origine armena e docente presso la UCLA e famoso per le sue pubblicazioni sull'importanza degli elementi non verbali nella comunicazione faccia a faccia, ha scoperto che la comunicazione (faccia a faccia) si può suddividere in tre componenti: parole, tono di voce e linguaggio non verbale. A tal riguardo egli sintetizzò quanto segue:
  1. quello che diciamo incide sulla credibilità del nostro messaggio per un bassissimo 7%;
  2. il modo in cui lo diciamo incide nella misura del 38%;
  3. quello che vedono gli altri raggiunge il 55% della credibilità.
Ricordiamo inoltre che nella maggior parte dei casi, più del 90% dell'impressione che suscitiamo negli altri non ha nulla a che vedere con ciò che diciamo effettivamente.
Questi dati confermano un fatto assodato: qualunque messaggio cerchiamo di trasmettere, afferma John C. Maxwell, deve contenere qualcosa di noi; non possiamo trasmettere soltanto delle informazioni trasformandoci in freddi messaggeri, il messaggio deve essere vissuto affinchè arrivi a chi vogliamo trasmetterlo, pena la mancanza di credibilità e di connessione.
Maxwell ci insegna che per avere successo nel connetterci con gli altri, dobbiamo essere sicuri che la nostra comunicazione vada al di là delle parole. Per fare ciò è necessario connetterci a quattro livelli: visuale, intellettuale, emotivo e verbale. Vediamoli uno ad uno.

Visuale: secondo molti ricercatori, fra cui Sonya Hamlin, nella comunicazione la vista conta più dell'udito. Infatti essa sostiene che gli esseri umani ricordano tra 85 e il 90% di ciò che vedono e meno del 15% di ciò che odono. Questo dato è da lei corroborato dal fatto che la maggior parte dei residenti nei paesi occidentalizzati è particolarmente sensibile all'impatto delle immagini, infatti il 77% degli americani riceve il 90% delle notizie dalla televisione, mentre i giovani, arrivati a diciannove anni, hanno già passato 22.000 ore davanti alla televisione, più del doppio di quelle passate a scuola. Viviamo in un'era visuale. La gente passa un'infinità di ore guardando la televisione, YouTube, Facebook, presentazioni Power-Point. Ormai la gente si aspetta che qualunque tipo di comunicazione si traduca in un'esperienza visiva. Roger Ailes, dirigente televisivo e consulente di comunicazione ha affermato che in un programma televisivo quando si entra in scena si hanno appena 7 secondi per fare la prima buona impressione; in pratica il personaggio televisivo, in quei primi 7 secondi, invia al pubblico una serie di "input" indiretti attraverso espressioni facciali, gesti, postura e carica energetica tali da permettere ai teleascoltatori di fare una valutazione istintiva delle motivazioni e degli atteggiamenti del personaggio. Sembra proprio che gli esseri umani sono in grado di percepire moltissimo in quei fatidici 7 secondi, decidendo quindi di non voler sentire nulla di quello che ha da dire l'oratore, o di contro sentirsi attratti da lui.

Intellettuale: Maxwell afferma che per connettersi a livello intellettuale si devono conoscere due cose: l'argomento di cui si parla e sé stessi. La prima è senz'altro ovvia, infatti i buoni comunicatori si avvalgono oltre tutto dell'esperienza che hanno acquisito nel tempo in relazione alla materia che ripetutamente trattano. Il secondo punto invece è decisamente più particolare. I migliori comunicatori non solo conoscono bene ciò che dicono ma hanno anche una grande fiducia nei propri mezzi, perchè sanno cosa possono  e che cosa non possono fare, e quando parlano con gli altri tendono a gravitare intorno ai propri punti di forza.

Emotivo: Edwin H.Friedman, psicoterapeuta ed esperto di leadership, sostiene che la comunicazione non dipende dalla sintassi, dall'eloquenza, dalla retorica o dall'eleganza della formulazione, ma dal contenuto emotivo in cui si riceve il messaggio. A conferma di ciò, Maxwell ci ricorda che ciò che abbiamo dentro, sia esso positivo o negativo, finirà per venir fuori comunque quando comunichiamo con gli altri. Tutti noi possiamo confermare un fatto dopo aver ascoltato un oratore: abbiamo sentito le sue parole, ma soprattutto abbiamo percepito il suo atteggiamento. Ed è qui che possiamo riscontrare che chi sa connettersi con gli altri a livello emotivo possiede ciò che si chiama "magnetismo" o "carsima". Maxwell evidenzia questo fatto in relazione al carisma ed al magnetismo: non occorre essere dei geni, particolarmente belli d'aspetto o grandi oratori per manifestare queste qualità, basta essere persone positive, credere in sé stesse e focalizzarsi sul prossimo.

Verbale: tutto quanto è stato qui riportato ha dato molta enfasi all'aspetto emotivo, come al potere della visualizzazione e della componente intellettuale. Ciò non toglie nulla al comunque grande potere delle parole. Ricordiamo che le parole che diciamo (e come le diciamo) hanno un forte impatto nella nostra comunicazione trasformando una banale conversazione in un momento indimenticabile. Pensiamo ad esempio a parole pronunciate in momenti sbagliate le quali hanno fatto saltare un accordo o contratto d'affari, o hanno fatto naufragare un rapporto sentimentale.

In conclusione, John Maxwell ci ricorda che l'arte della comunicazione mette insieme tutti i fattori prima citati: usare le parole giuste trasmettendo l'emozione giusta, risultando vincenti sul piano intellettuale e creando l'impressione visuale giusta, tutto ciò con il giusto tono di voce e corrette espressioni facciali ed un linguaggio non verbale positivo. Ma il miglior consiglio che questo esperto della comunicazione ci dà è quello di imparare ad essere sé stessi. I più grandi oratori professionali conoscono bene sé stessi e di conseguenza i propri punti di forma e li usano con sapienza a proprio vantaggio.
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