mercoledì 7 luglio 2010

Il veleno del risentimento

Per veleno si intende una sostanza che, se assunta da un organismo vivente, ha effetti dannosi temporanei o permanenti, fino a diventare letali, attraverso un meccanismo di natura chimica. Il risentimento può ben essere considerato un veleno in quanto ha la capacità di intossicare, metaforicamente parlando, l'intera vita di un essere umano. In aggiunta possiamo affermare che il risentimento, mantenuto nel tempo, arriva al punto di danneggiare tutti quei meccanismi di autostima e fiducia di un individuo. Si può ben dire che il risentimento porta al fallimento della maggior parte delle iniziative e progetti delle persone.
Ma il risentimento è anche il tentativo di rendere il nostro personale fallimento più accettabile, spiegandolo in termini di ingiustizia e di imparzialità di trattamento nei nostri confronti. L’impulso del risentimento vive nelle personalità che nutrono un forte senso di inferiorità e fallimento, cercando un capro espiatorio o scusa per il proprio insuccesso nella società, nel sistema, nella vita, nella famiglia, nel coniuge e via dicendo; probabilmente in queste personalità questo elenco potrebbe continuare all’infinito perché c’è sempre qualcuno o qualcosa a cui dare la colpa. La persona che manifesta risentimento si sente defraudata da qualcosa come la vita o da qualcuno perché vede negli altri il successo e nella propria esistenza un inganno.
Il risentimento, anche se basato su torti o ingiustizie reali, non è il modo per vincere nella vita, anzi, diventa presto un’abitudine emotiva. Sentendosi per abitudine vittime di un’ingiustizia, ci si immedesima nel ruolo della vittima. In questo modo è facile vedere la prova dell’ingiustizia o immaginare che si è stati oggetto di un torto.
Il risentimento comunque è un mezzo che serve per sentirsi importanti. Molte persone provano una soddisfazione perversa nel sentirsi vittime. Se ricordiamo un avvenimento in cui una persona è stata vittima di un’ingiustizia (sia questa vista in un programma televisivo o personalmente conosciuta), questa si sente moralmente superiore a chi ne è stato la causa. Inoltre la persona che nutre risentimento cerca di dimostrare il suo caso di fronte a tutti coloro ai quali è possibile fornire prove dell’offesa e se riesce ad assumere un atteggiamento abbastanza risentito e quindi a provare l’ingiustizia, questo lo ricompenserà del suo dolore.
In questo senso il risentimento è una resistenza, una non accettazione di qualcosa che è già avvenuto. La parola risentimento deriva da due parole latine: 're', prefisso che significa ripetizione e 'sentire'. Il risentimento quindi è un ripetere, un continuo combattere emotivamente contro un avvenimento del passato che sappiamo benissimo impossibile da cambiare.
Il risentimento abituale porta invariabilmente all'autocompassione, che è il sentimento peggiore che si possa avere. Quando queste abitudini sono fortemente radicate, la persona non si sente a proprio agio senza aver ricevuto delle ingiustizie, quindi andrà a cercarsi situazioni tali da essere oggetto di torti.
Ricordiamoci che il risentimento non è provocato dalle altre persone, dagli eventi o dalle circostanze, ma solo dalla risposta emotiva dell'individuo. Il risentimento è quindi incompatibile con la lotta creativa verso un traguardo, perché nella lotta la persona è il vero attore, non lo spettatore passivo.
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