domenica 25 luglio 2010

Farmaci Antidepressivi: tra business e falsità

Un interessante articolo che sintetizza il serio problema della diffusione degli psicofarmaci. In questo articolo la dr.ssa Valeria Marracino, con saggezza ed equilibrio, trasmette informazioni che tutti coloro che assumono antidepressivi dovrebbero leggere, avendo il coraggio di chiedersi se sono realmente necessari. Il più delle volte c'è la paura di guardare la propria vita negli occhi ed accettare il fatto che deve essere rivalutata e non per ultimo cambiata.
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Philippe Pignarre, manager “pentito” di colossi farmaceutici, denuncia nel libro “L'industria della depressione” (Bollati Boringhieri), lo scandalo del business farmaceutico e del pressapochismo degli psichiatri che prescrivono pillole della felicità con grande disinvoltura. Secondo l'OMS oggi i depressi supererebbero il miliardo e se si pensa che nel 1970 i depressi erano “solo” cento milioni, ci si chiede cosa ci aspetterà in futuro. Un mondo di depressi cronici. Ma cosa sta succedendo? Cosa può spiegare questa allarmante ondata di tristezza patologica? Le spiegazioni sociologiche che descrivono l'uomo vittima di una società competitiva e massificante non bastano per giustificare questo fenomeno allarmante.
Come spiega Pignarre il boom dei depressi è frutto dell'influenza delle multinazionali farmaceutiche che, con i congressi in hotel a cinque stelle e articoli di esperti dipendenti dalle stesse case produttrici di psicofarmaci, hanno esercitato ed esercitano una campagna di disinformazione e persuasione di massa. Le pillole della felicità sarebbero solo un bluff alimentato da interessi economici e l'epidemia del male oscuro un male studiato a tavolino. I depressi “veri” sono solo il 2 per cento della popolazione, tutti gli altri sono solo persone che stanno attraversando un periodo difficile a cui stanno rispondendo con un normale fisiologico calo dell'umore. Certo il mercato ha trovato terreno fertile in una società dove tutto si compra, anche la felicità, e dove più nessuno accetta di star male affrettandosi a cancellare il sintomo fastidioso senza arrivare alla causa dello stesso. Tutto e subito possibilmente. Ed allora entra in gioco l'eticità di certi dispensatori di felicità in pasticche che barattano il proprio giuramento di Ippocrate con un vacanza sponsor con tanto di congresso scientifico dai contenuti ovvi che acquietano le loro coscienze.
Personalmente, come psicologa-psicoterapeuta, non sono rigidamente contraria agli psicofarmaci, anzi in certi casi li ritengo necessari purché contestualizzati in un rapporto psicoterapeutico che è la base e non il sostegno della funzione terapeutica degli psicofarmaci. Una terapia farmacologica disgiunta da una psicoterapia è controproducente, crea dipendenza e non elabora la base del disagio. Non basta vedere lo psichiatra ogni quindici-venti giorni per seguire l'andamento dei sintomi, questa non è psicoterapia che ha una cadenza almeno settimanale e che deve seguire il vissuto emotivo del paziente in relazione alla cura farmacologica e sopratutto rispetto al proprio disagio.
Gli antidepressivi di ultima generazione, i famosi IRSS (inibitori selettivi della recaptazione della serotonina), Fluoxetina, Fluvoxamina, Paroxetina, Citalopram, etc., prescritti in massa anche dai medici generici, non sono così innocui come le case farmaceutiche dichiarano. Hanno effetti collaterali e quando si smette di prenderli provocano fenomeni di astinenza, come capogiri, vertigini e nausea. I "nonni" degli IRSS, ovvero i Triciclici, sono ancora più tossici e danno altri effetti collaterali come sonnolenza, abbassamento della pressione arteriosa, causano ritenzione urinaria, disturbi intestinali, calo del desiderio sessuale ed in più sono cardiotossici. Ci si chiede se qualche effetto positivo questi farmaci lo abbiano davvero. Pignarre è chiaro su questo punto: “Sono euforizzanti danno buon umore un po' come una blanda cocaina, ma questo non vuol dire che curino la depressione e, una volta sospesi, i sintomi iniziali ricompaiono... in realtà questi farmaci hanno colmato una lacuna che imbarazzava molto la psichiatria dando una spiegazione biochimica alla depressione priva altrimenti di una causa scientifica”.
Insomma se è vero che un calo di certi neurotrasmettitori (noradrenalina, dopamina e serotonina) è la causa della depressione cosa è che determina questo calo? L'evento triste o l'evento triste è vissuto come tale perché c'è una alterata funzionalità dei neurotrasmettitori? In altre parole, certo più ruspanti delle pubblicazioni scientifiche, viene prima l'uovo o la gallina? E se l'uomo imparasse a vivere le inevitabili difficoltà della vita in modo diverso, imparasse a pensare in modo diverso, i neurotrasmettitori come reagirebbero? Insomma se per una volta il mondo scientifico libero da pressioni “lobbystiche” si decidesse a voler arrivare alla causa o alle reali e non artefatte concause di questa patologia forse il mondo tutto, non solo i singoli pazienti, ne trarrebbero beneficio. Si farebbe una reale e simbolica pulizia da idee preconcette, intrugli chimici e interessi lucrosi.


Valeria Marracino - psicoterapeuta


fonte: Promiseland.it
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